Telefono

+39 3281675379

Email

info@abbicuradite.it

Ahimsa. La non-violenza secondo lo Yoga

Il 25 novembre è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere e, quando Don Giuseppe ha proposto di uscire con un numero speciale di “Fidene in rete” su questo tema, ho sentito che avrei dovuto dare il mio contributo, con l’intento di affrontare questo argomento da un punto di vista… yogico.

La violenza di genere è solo una delle tante forme di violenza esistenti e nello Yoga si fa molto spesso riferimento al concetto di Ahimsa, termine sanscrito composto dalla a privativa e da himsa, forma desiderativa del verbo han, che significa “uccidere” o “nuocere”, per cui il significato ultimo è “non-violenza” e, per esteso, non causare sofferenza fisica o morale a nessun essere vivente, attraverso pensieri, parole e azioni.

Questo concetto lo ritroviamo già nelle Upanisad del IX sec. a.C. ma fu elaborato nei secoli successivi anche nella Bhagavadgītā, nei Purana e nella letteratura buddista. Quelli appena citati sono solo alcuni dei testi sacri indiani a cui si fa riferimento nello Yoga, eppure la maggior parte dei praticanti riconosce Ahimsa come il primo dei 5 yama degli Yoga Sutra di Patanjali. In breve, Patanjali è considerato uno dei padri fondatori dello Yoga perché è colui che ha dato il via alla sua diffusione scrivendo proprio gli Yoga Sutra, opera che si fa risalire al 200 a.C., composta da 196 aforismi e considerata da sempre uno dei testi fondamentali. In essa Patanjali distingue tra yama e niyama, laddove i primi rappresentano le astensioni mentre i secondi possono intendersi come le osservanze. E Ahimsa è proprio il primo di questi consigli di azione o modelli di comportamento.

“Ahimsa pratisthayam tat sannidhau vaira tyagah” (in sanscrito originale)
“Una volta conquistata la non-violenza sia nel linguaggio che nel pensiero che nelle azioni, lo Yogi è libero dell’aggressività e, in sua presenza, anche gli altri diventano mansueti.” (traduzione italiana)
Capitolo II – aforisma 35 degli Yoga Sutra di Patanjali

Il concetto di Ahimsa è stato diffuso in Occidente da Mahatma Gandhi – da cui sono nati anche movimenti politici non violenti di tipo occidentale – e Martin Luther King, influenzato da questo valore, fu paladino delle proteste pacifiste contro la violenza e la povertà in tutto il mondo.

“Letteralmente Ahimsa significa non uccidere, ma per me ha un significato molto più ampio. Significa che non puoi offendere nessuno, che devi avere compassione dell’altro, anche se si tratta di un tuo nemico. Per chi segue questa dottrina, non c’è nemico.”
“La non-violenza distingue l’uomo dalla bestia.”
“Il genere umano può liberarsi dalla violenza soltanto ricorrendo alla non-violenza. L’odio può essere sconfitto soltanto con l’amore.”
Mahatma Gandhi

Come dicevo, non bisogna però dimenticare che il concetto di non-violenza nello Yoga è molto più ampio. L’idea è che è solo a partire dalla non-violenza verso se stessi che si possa assumere questo atteggiamento anche nei confronti degli altri, di tutti gli altri esseri viventi – uomini e donne, anziani e bambini, piante e animali, ma anche gli oggetti e il mondo in cui viviamo. Va da sé che imparare a rispettarsi si ripercuote positivamente nei rapporti interpersonali ma anche nella cura che abbiamo per il nostro ambiente. Potremmo infine affermare che l’individuo in pace con se stesso sia in pace con gli altri e con l’ambiente in cui vive.

Il concetto di non-violenza va a braccetto con il concetto di rispetto e allora sul tappetino si impara, poco a poco, ad avere una maggiore consapevolezza del proprio corpo, dei propri bisogni, delle proprie sensazioni ed emozioni. Quando aumenta questa consapevolezza e ci si ama un po’ di più, si capisce quanto sia importante rispettare se stessi in prima battuta, per non incorrere in disturbi e malattie anche croniche – sia a livello fisico che mentale – e per non incappare in situazioni che potrebbero metterci in pericolo ed eventualmente trovare il modo di allontanarsi da esse qualora dovessimo già esserci dentro. Quando ci si concede rispetto, si avverte immediatamente una sensazione di sollievo. Ci si sente meglio. La compassione nei propri confronti ci fa liberare da emozioni di rabbia e frustrazione che tendiamo a rivolgere sia verso noi stessi che verso gli altri, tendenzialmente proprio verso chi ci sta più vicino, chi ci vuole bene, i nostri familiari. Quando si allentano le tensioni interne, cambia anche l’atteggiamento nei confronti dei nostri cari e, considerando che spesso è proprio tra le mura domestiche che avvengono i soprusi e le violenze di genere, assumere un atteggiamento privo di aggressività potrebbe migliorare positivamente le tensioni familiari che a lungo andare rischiano di diventare una cattiva abitudine.

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza di genere, il mio invito è rivolto sia a chi maltratta che a chi subisce. Chi maltratta è evidentemente il primo che non si rispetta e, anziché cercare di alimentare sentimenti di odio e rabbia, dovrebbe sentirsi amato e provare a vedere gli altri da un altro punto di vista, sentirsi parte di un gruppo. Chi è nella posizione del maltrattato dovrebbe invece rendersi conto che subire soprusi, offese, minacce o violenza fisica non è la normalità, che non si può permettere a qualcun altro di farci del male, che un’alternativa a una situazione del genere è sempre possibile. Ma il primo passo da compiere è sicuramente capire che ci si trova in una situazione di violenza, il che non è affatto semplice. La pratica dello Yoga, andando ad aumentare la propria consapevolezza, ci può aiutare a capire cosa ci stia succedendo: si impara a sentire e riconoscere quello che succede dentro di noi – le proprie sensazioni ed emozioni – ma anche a leggere con lucidità quello che succede nell’ambiente in cui viviamo. In questo modo lo Yoga, qualora dovessimo ritrovarci in una situazione di violenza, potrebbe essere un buon punto di partenza per tirarci fuori da situazioni spiacevoli e che potremmo risparmiarci, concedendoci invece la possibilità di vivere felici.

Non da ultimo è importante sottolineare quanto il gruppo di persone con cui si pratica Yoga – quello che viene indicato con il termine sanscrito Sangha – potrebbe essere in grado di offrire il giusto sostegno in situazioni che potrebbero sembrarci insormontabili. A volte, è sufficiente ritrovarsi nella stessa stanza con altri praticanti, per sperimentare sulla propria pelle il rispetto di cui sopra. Senza parlare. Altre volte, la sala riesce a darci la sensazione di trovarci in un luogo così sicuro che si arriva fino a decidere di condividere con gli altri le proprie esperienze per magari accorgersi che sono condivise. E col confronto, non di rado, capita di venire a conoscenza di modi alternativi per affrontare determinate situazioni che, ripeto, potrebbero essere uno spunto per permetterci di raggiungere la felicità.  

fideneinrete.blog

Articoli consigliati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *