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Platone – Il mito di Theuth e di Thamus

Platone (427-347 a.C.)
dal Fedro, V 274B-278E
Parte quinta. Superiorità dell’oralità rispetto alla scrittura
La scrittura non accresce né la sapienza né la memoria degli uomini

Socrate – Resta ora da parlare della convenienza dello scritto e della non convenienza, quando esso vada bene e quando sia invece non conveniente. O no?

Fedro – Sì.

Socrate – Ora sai in quale modo, per quanto concerne i discorsi, si può massimamente piacere a Dio, facendoli oppure parlando di essi?

Fedro – Proprio no. E tu?

Socrate – Io posso narrarti una storia tramandataci dagli antichi; il vero essi lo sanno. E se noi lo trovassimo da soli, ci importerebbe ancora qualcosa delle opinioni degli uomini?

Fedro – La tua domanda è ridicola! Ma narrami questa storia che hai udito.

Socrate – Ho udito, dunque, narrare che presso Naucrati d’Egitto c’era uno degli antichi dèi di quel luogo, al quale era sacro l’uccello che chiamano Ibis, e il nome di questo dio era Theuth. Dicono che per primo egli abbia scoperto i numeri, il calcolo, la geometria e l’astronomia e poi il gioco del tavoliere e dei dadi e, infine, anche la scrittura. Re di tutto quanto l’Egitto a quel tempo era Thamus e abitava nella grande città dell’Alto Nilo. Gli Elleni la chiamano Tebe Egizia, mentre chiamano Ammone il suo dio. E Theuth andò da Thamus, gli mostrò queste arti e gli disse che bisognava insegnarle a tutti gli Egizi. E il re gli domandò quale fosse l’utilità di ciascuna di quelle arti, e, mentre il dio gliela spiegava, a seconda che gli sembrasse che dicesse bene o non bene, disapprovava oppure lodava. A quel che si narra, molte furono le cose che, su ciascun’arte, Thamus disse a Theuth in biasimo o in lode, e per esporle sarebbe necessario un lungo discorso.

Ma quando si giunse alla scrittura, Theuth disse: «Questa conoscenza, o re, renderà gli Egiziani più sapienti e più capaci di ricordare, perché con essa si è ritrovato il farmaco della memoria e della sapienza».

E il re rispose: «O ingegnosissimo Theuth, c’è chi è capace di creare le arti e chi è invece capace di giudicare quale danno o quale vantaggio ne ricaveranno coloro che le adopereranno. Ora tu, essendo padre della scrittura, per affetto hai detto proprio il contrario di quello che essa vale. Infatti, la scoperta della scrittura avrà per effetto di produrre la dimenticanza nelle anime di coloro che la impareranno, perché, fidandosi della scrittura, si abitueranno a ricordare dal di fuori mediante segni estranei, e non dal di dentro e da se medesimi: dunque, tu hai trovato non il farmaco della memoria, ma del richiamare alla memoria.

«Della sapienza, poi, tu procuri ai tuoi discepoli l’apparenza, non la verità: infatti essi, divenendo per mezzo tuo uditori di molte cose senza insegnamento, crederanno di essere conoscitori di molte cose, mentre, come accade per lo più, in realtà, non le sapranno; e sarà ben difficile discorrere con essi, perché sono diventati portatori di opinioni invece che sapienti».

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